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Il libro che presentiamo qui, edito da Carabba, pur essendo la prima pubblicazione in volume dell'autore accoglie articoli, aggiornati, già dati alle stampe in un arco di tempo piuttosto lungo su riviste specializzate. Risulta diviso in cinque sezioni, in cui vengono trattati svariati argomenti che spaziano dall'arte e la letteratura alla clinica e alla psicoterapia. E’ scritto con stile discorsivo e tuttavia rigoroso nei riferimenti all'opera di studiosi che hanno dedicato gran parte del loro tempo ad indagare i complessi processi psicologici in gioco nell'attività creativa e nelle sue espressioni esteriori. La prima parte del libro è un tributo alla terra d'origine dell'autore. Indagando le rispettive opere di F. P. Michetti e G. D'annunzio su "La figlia di Iorio" egli ci conduce con semplicità e chiarezza nei meandri della fucina creativa di due eccellenze abruzzesi che, ciascuno col proprio linguaggio artistico-espressivo, hanno saputo cogliere e rappresentare l’evoluzione storico-sociale e psicologica  che dalla dimensione pastorale delle epoche arcaiche ha condotto a nuove e più moderne forme in cui l’identità individuale - spiccatamente quella femminile - ha potuto iniziare a declinarsi. La seconda parte del volume si occupa invece di psicologia e psicoterapia, sempre tuttavia con un tono colloquiale, che evita la caduta in astratti tecnicismi anche laddove la complessità degli argomenti potrebbe facilmente indurre a un tale cedimento. Interessanti le pagine dedicate alla rivisitazione in chiave sistemico-relazionale del caso di Pierre Rivière, entrato nella mitologia della casistica criminologica grazie ai lavori di Michel Focault e della più ristretta cerchia dei suoi collaboratori. A più riprese nel corso della narrazione  l'autore parla di sé, offrendo spezzoni del suo mondo interiore e ricordi d’infanzia, non mancando di articolare la dimensione personale coi fatti,  gli incontri e le esperienze maturate nel corso della sua attività formativa, finalizzata al perfezionamento nell’esercizio della psicoterapia. Stimolante anche la lettura di alcune pagine conclusive del volume in cui,  in forma di brevi flash, si descrivono situazioni cliniche tratte dalla pratica professionale quotidiana. Un libro nel complesso piacevole, la cui lettura può fungere da stimolo all'approfondimento di svariate tematiche, tanto in ambito artistico quanto in ambito clinico. Nonché un discorso che valorizza l’importanza di un approccio trasversale e interdisciplinare che qualunque seria riflessione sulla natura del processo creativo non può ignorare, anche sulla scia del contributo di coloro che si sono occupati profondamente dell’argomento. Concludiamo dunque con le parole di uno di essi, lo psicoanalista Donald Winnicott, che a proposito del rapporto che sussisterebbe tra creatività e capacità di giocare con le emozioni e la follia, avrebbe affermato in forma aforistica:

"La creatività è il fare che nasce dall'essere. Siamo davvero poveri  se siamo soltanto sani".

Quella della rete è un’immagine inesauribile.  Rete televisiva, rete satellitare, rete di internet; la rete del pescatore, la tela del ragno; la rete in fondo alla porta nel gioco del calcio o della pallanuoto; la rete di recinzione di un istituto di pena, di un appezzamento di terreno, di un’impalcatura edile … Si potrebbe continuare con un’infinità di esempi simili. Ma cosa esprime essenzialmente l’immagine della rete? Anzitutto, un certo grado di permeabilità e discontinuità. Se la rete avesse una struttura continua, rigida e compatta, non sarebbe più tale. E’ la permeabilità che consente la trasparenza che permette di vedere-attraverso (vedere-in-trasparenza, “see trough”, come lo definisce J. Hillman) di essa, al di là di essa, e dentro. La rete è idonea a catturare - che si tratti di insetti, di pesci o di onde radio. In tal caso gioca un ruolo decisivo lo spessore e l’ampiezza delle sue maglie, il potere risolutivo, per così dire, della rete. E’ esso che definisce e discrimina tra ciò che va  trattenuto e ciò che va lasciato passare. Insomma: la rete come sinonimo di filtro.  E’ la struttura intima della materia stessa che è retiforme. Si pensi all’atomo. Ce lo immaginiamo come una massa compatta e continua, nucleare, ma non è così. Tra le particelle che compongono gli atomi della materia c’è una distanza enorme, proporzionalmente alle loro dimensioni. Un atomo, al contrario di quanto pensava Democrito, è tutt’altro che indivisibile. E’ piuttosto simile ad un micro-sistema planetario. Siamo sempre “in rete”, allora, è proprio il caso di dire. La rete in quanto trappola cattura tutto ciò che non è sufficientemente sottile da poterla attraversare senza rimanervi impigliato. Un principio di reificazione espresso in immagine. Con sensibilità paranoidea, la potremmo definire una barriera che impedisce l’intrusione di agenti esterni temuti o nocivi, come il reticolo endoteliale, o il falso sé di cui parla D.W. Winnicott. La rete impone una scomposizione delle entità. In altri casi, offre una possibilità di identificazione spaziale, di localizzazione. Si pensi agli assi cartesiani, con la loro struttura reticolare.  Il mappamondo è una gigantesca palla imprigionata in una rete ideale – come le cipolle al supermercato – di meridiani e paralleli reciprocamente ortogonali. Infine … la rete è un’eccellente metafora della psiche. Psiche, la giovinetta irretita da Eros, col suo fascino virginale – una rete intatta, una partita di calcio ancora sullo zero a zero, “reti in bianco”. Ironia a parte … la rete è psiche stessa in quanto struttura intima, tessitura profonda, articolazione originaria. E’ l’inconoscibile che tuttavia rende possibile la conoscenza filtrando il reale per  adeguarlo alle capacità della mente, proteggendola dall’irruzione di verità troppo massicce, riducendolo in pezzettini di dimensioni tali da non mandare in frantumi quel contenitore che è il corpo stesso, invaso dalle emozioni. Una persona “difesa” appare “impenetrabile”, come l’atomo di Democrito. Lo può essere ad un “trattamento psicoterapeutico” – dunque in senso stretto o,  più estensivamente, alla “cura” che è all’opera nella vita, nella sua quotidianità. La stessa psicoterapia potremmo considerarla come una delle maglie dell’enorme rete di protezione che contiene, protegge o - in certi casi persino - intrappola la soggettività umana. Come un gioco che impone alla psiche di farsi via via sempre più sottile, onde   poter sfuggire alla sua presa, evitando così di restarne irretita. Una psiche iniziata - cioè assai curata - è un capolavoro di elusività. Stanze e stanze di terapia comportamentale, cognitiva, sistemica, psicoanalitica, esistenziale … potremmo immaginarle come altrettanti reticoli che setacciano l’anima dell’uomo da capo a fondo senza tuttavia trattenerne nulla di essenziale e a dispetto di ogni proposito di normalizzazione. Immagine paradigmatica del moderno psicoterapeuta è allora il discepolo Pietro, il “pescatore di uomini” della tradizione giudaico-cristiana, fondatore della Chiesa,  la Madre di tutte le moderne Istituzioni Terapeutiche. Dietro il potere della Chiesa, della Famiglia, delle Istituzioni Pubbliche, così come dei mass-media, delle ideologie e delle dottrine scientifiche, filosofiche e artistiche di ogni epoca e luogo occhieggia sempre lei: la rete. Ed è in tal senso che quella della rete è una metafora originaria dello psichico: di uno scudo che protegge l’uomo dalla verità, almeno fino al tempo della mietitura.